mercoledì, ottobre 25, 2006

IL NOME DELLA LEGGE DELL' UNIVERSO


Nam myoho renge kyo

"Nichiren Daishonin, Maestro buddhista giapponese del XIII secolo, ritenne di rintracciare l’essenza stessa della predicazione e dell’Illuminazione del Buddha in un mantra, chiamato ‘daimoku’, cioè ‘invocazione’. Il mantra è ‘Nam Myoho Renge Kyo’, traducibile in: “Dedico la mia vita alla Legge Mistica del Sutra del Loto”. Qui di seguito espongo alcune mie ricerche ed elaborazioni personali sul suo significato. ‘Nam’: deriva dal sanscrito. Etimologicamente rappresenta il saluto, il ‘namaskar’ o il ‘namastè’ indiano che gestualmente si accompagna con un sorriso e un inchino a mani giunte. Nel termine ‘nam’ è contenuta l’idea di riverire, lodare, essere devoti, riconoscere il valore di qualcuno o qualcosa, accogliere, offrire o offrirsi con umiltà e gratitudine. Si tratta di una parola, un gesto e un atto gioiosi e vitali. Se qualcuno ha osservato come il saluto a mani giunte viene compiuto nella danza indiana, per esempio nel Katakhali o nell’Orissa, ricorderà la vibrante emozione religiosa di cui è permeato. Quello è il senso proprio e tradizionale del ‘Nam’. Possiamo asserire che ogni pratica religiosa, in fondo, è compresa in ‘Nam’, poiché in questa parola è contenuto il riconoscimento di qualcosa di profondo e ulteriore, di un ‘tremendum’, di un ché di numinoso, immanente e trascendente rispetto a chi la pronuncia. Tutte le religioni, qualunque sia la loro struttura filosofica e il loro approdo, partono – per così dire - da ‘Nam’, cioè dall’atto di devozione di fronte al divino, a Dio, alla Legge, al Cielo e alla Terra, o comunque si voglia concepire e definire la “vera entità della vita”. In questo senso ‘Nam’ è anche l’Illuminazione di Shakyamuni sotto l’Albero di Bodhi: il momento in cui l’individuo diviene consapevole della ‘Realtà Universale’ e ad essa porge il suo saluto, in essa si riconosce. In sanscrito ‘Nam’ è scritto con la ‘a’ breve. Se questa fosse lunga ‘Nam’ significherebbe ‘Nome’ e comunque, sia etimologicamente che foneticamente, esiste una stretta parentela fra i due termini. Nella filosofia indiana, per esempio nel Samkhya (che corrisponde un pò alla nostra Scolastica medioevale per le caratteristiche di complessa elaborazione logico-filosofica), Nam rappresenta l’identità o la ‘vera identità’, rispetto a ‘Rupa’, la forma, l’aspetto o la struttura esteriore, il corpo, la manifestazione. Nam indica anche il Nome Divino e viene utilizzato in molti mantra e preghiere indù: per esempio ‘Om Namah Shivaya’ (saluto a Shiva). Il Nome Divino con la sua ripetizione riveste un’importanza enorme in moltissime religioni, ricoprendo spesso il ruolo di invocazione suprema: pensiamo all’Islam, ma anche all’ebraismo mistico dove ogni nome di Dio richiama una caratteristica particolare dell’Essere Supremo (Adonai, il Signore; El Shaddai, l’Onnipotente ecc.) e ne esiste anche uno impronunciabile per la sua tremenda forza misterica (YHVH). Persino la preghiera del Cristo “…sia santificato il Tuo Nome” è in linea con questa idea che il Santo Nome rappresenti in sé un legame diretto con l’Entità Universale. Per quanto esposto, possiamo considerare anche il daimoku come un’invocazione del Nome della Mistica Legge. Nel buddhismo, tuttavia, la Realtà Ultima non è tradizionalmente rappresentata da una divinità antropomorfa ed è inesprimibile a parole, però può essere ‘vissuta’, riconosciuta, sentita, sperimentata. La si indica con la parola ‘Legge’ per descriverla come dotata di senso, logica, come esprimente un ordine fondamentale, un’intenzione imperscrutabile e oltre l’aspetto illusorio dei fenomeni. Più o meno lo stesso significato i taoisti attribuivano alla parola ‘Tao’ (Via), e i seguaci del Vedanta come anche i redattori delle Upanishad indicavano la stessa cosa con la locuzione ‘Quello’ (Tat): tutte queste correnti filosofico-religiose esprimevano ed esprimono in tal modo la convinzione che la Vera Entità non possa essere definita o compresa dalla mente concettuale. Anche nell’intenzione di Nichiren ‘Nam Myoho Renge Kyo’ sposta l’attenzione della pratica meditativa dalla semplice adorazione di un Buddha ‘divinizzato’ (tipica di certo Mahayana) come poteva essere Amida, Dainichi o lo stesso Shakyamuni, alla consapevolezza di ‘Quello’, l’Entità Inesprimibile, il Tutto, l’Assoluto. Nelle parole ‘Myoho Renge Kyo’ abbiamo, per così dire, la piena descrizione filosofica di questo Assoluto precisando, comunque, che Nichiren Daishonin - anche in accordo con il Sutra del Loto su cui si basa il suo insegnamento - non considera mai la Realtà Ultima lontana dagli esseri viventi e da essi irraggiungibile, ma in ogni istante vicina e alla portata di tutti. ‘Myoho’ ne è l’anzidetto aspetto inesprimibile, mistico e misterico, oltre la mente concettuale (Sad-Dharma, la Vera Legge; Sat: la Verità, l’Essere). ‘Renge’, il ‘Fiore di Loto’, ne è la manifestazione sottile quale Legge di Causa ed Effetto, alla base del dipanarsi degli Universi (rappresentati anch’essi dal Loto come espressione dell’unità nella molteplicità, Mandala Cosmico). Da ultimo ‘Kyo’, così come il sanscrito ‘Sutra’ e il cinese ‘Ching’, ha in sé il concetto di ‘ordito’, ‘tessuto’, ‘trama’. Allude all’aspetto percepibile, alla ‘veste’ della Legge che appare in qualità di mondo dei fenomeni."

(credits: da riflessioni di Maurizio su Nam myoho renge kyo - http://www.taozen.it/daimoku.htm)


Nam: Dedizione. Dedicare la vita a questa Legge attraverso la fede, la pratica e lo studio.

Myoho: Legge mistica. Come Nichiren Daishonin spiegò in uno dei suoi scritti: “Cosa significa quindi myo? E’ semplicemente la misteriosa natura della nostra vita di attimo in attimo, che la mente non riesce a comprendere o le parole ad esprimere".

Renge: Letteralmente, “fiore di loto”, che nello stesso momento produce semi e fiorisce. Esso rappresenta la simultaneità di causa ed effetto.

Kyo: Suono o insegnamento. E’ la trasmissione dell’insegnamento del Buddha.

"La recitazione di Nam-myoho-renge-kyo (Daimoku), che è il nome della Legge mistica che regola la vita nell’universo, è la pratica fondamentale. Quando invochiamo il nome della Legge mistica, armonizziamo le nostre vite al ritmo perfetto dell’universo; il risultato è un accresciuto stato vitale, saggezza, compassione e buona fortuna per affrontare le sfide della vita.
La recitazione deve essere fatta con ritmo dinamico, anche se la mente vaga è importante cercare di essere concentrati concentrandosi sul suono e sul ritmo. La recitazione è una preghiera e in quanto tale va affrontata con serietà e con un atteggiamento dignitoso. La preghiera è il mezzo per attingere alla Legge della vita presente in ognuno di noi".

"La recitazione del Daimoku non è né una forma di meditazione né “pensiero positivo” sebbene abbia in sé i benefici effetti di entrambe queste pratiche e molto altro. L’essenza della recitazione di Nam-myoho-renge-kyo consiste nell’azione stessa di affermare la nostra natura di Budda attraverso la frase che pronunciamo. La meditazione o il “pensiero positivo” non hanno come obiettivo l’ottenimento della Buddità e non è possibile esprimere la propria Buddità con questi mezzi. La meditazione serve a centrare i nostri pensieri ed a rilassarci. Il “pensiero positivo” mira ad ottenere risultati favorevoli grazie ad uno stato positivo della mente. Anche se entrambe queste “tecniche” posseggono un proprio valore, esse da sole non possono cambiare quegli elementi fondamentali della nostra vita cui sono legate la nostra infelicità o le nostre insoddisfazioni; il karma. Tali pratiche non hanno alcuna influenza sul nostro karma. La meditazione è una pratica più passiva della recitazione del Daimoku; consiste nel calmare la nostra mente grazie alla concentrazione sulla recitazione di un particolare mantra, o su un’immagine. A prima vista ciò può sembrare simile alla pratica del Buddismo di Nichiren Daishonin, ma in realtà la differenza fra le due è notevole. La pratica della recitazione di Nam-myoho-renge-kyo significa per noi esprimere e sperimentare la nostra innata Buddità e rilasciare la potente energia che essa contiene, piuttosto che calmare le nostre menti o sopprimere certe forme di pensiero. Inoltre, mentre è senz’altro vero che i nostri pensieri divengono più positivi come riflesso del fatto che stiamo recitando Daimoku, tale pratica promuove la nostra Buddità che, a sua volta, influenza in ogni aspetto la nostra esistenza, sia a livello fisico, sia mentale. Recitare Daimoku non è quindi tanto questione di “pensare positivo” o meditare sulle questioni ma piuttosto il conseguimento di un alto stato vitale che influenza naturalmente e positivamente i nostri pensieri".

(tratto dal sito dell' istituto buddista italiano soka gakkai http://www.sgi-italia.org/index.php)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

wow..un altro praticante online!
grazie, proprio oggi che c'è zadankai!

Anonimo ha detto...

.. molto esaustiva la tua espiegazione di cio che è per noi discepoli del Dishonin la recitazione di N.M.R.K .. ma .. non è un mantra , è un mandala ! ;)